“Narcos” a Tor Bella Monaca, chiesti 450 anni di carcere

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Condanne per più di 450 anni complessivi. Le hanno richieste le autorità della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma per i 38 imputati nel processo con rito abbreviato nato dall’inchiesta che ha portato ad “azzerare” i vertici della più grande piazza di spaccio di Tor Bella Monaca.

Le indagini, coordinate da Ilaria Calò, Michele Prestipino e Simona Marazza, avevano portato a eseguire cinquantuno misure cautelari, 44 in carcere e 7 ai domiciliari. Le accuse contestate, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dall’associazione armata finalizzata al narcotraffico, sequestro di persona aggravato dal metodo mafioso, all’attribuzione fittizia di valori.

L’inchiesta, nata anche grazie alle dichiarazioni fornite da due collaboratori di giustizia che avevano fatto parte in passato dell’organizzazione, aveva permesso di ricostruire i ruoli dei vari sodali all’interno dell’organizzazione, con a capo tre fratelli che gestivano l’attività della piazza di spaccio che si trova su via dell’Archeologia. Una piazza che non ‘dormiva’ mai, secondo quanto ricostruito dalle indagini: pusher e vedette si alternavano in strada h24 con rigide turnazioni in attesa dei numerosi acquirenti. E i ‘collaboratori’ avevano invece il compito di rifornire, controllare pusher e vedette facendo da anello di congiunzione con i vertici dell’associazione.

La droga, cocaina ma anche eroina e hashish, veniva nascosta nei posti più disparati, come ad esempio nei serbatoi dei veicoli in sosta, cantine occupate abusivamente munite di inferriate, sotto le piante delle aiuole. Dalle indagini, che avevano consentito di appurare come il giro d’affari fosse di circa 15-20mila al giorno, per 600.000 mensili, era emerso anche che chi sbagliava subiva punizioni gravissime: si è arrivati a registrare veri e propri sequestri di persona dove gli associati infedeli, ed addirittura i loro familiari, sono stati sequestrati per poi venire brutalmente picchiati. Con riferimento a questa ultima accusa è stata contestata anche l’aggravante di aver agito col metodo mafioso.