Non è certamente un fenomeno di questi giorni, quello dello spopolamento
della Penisola italiana, ma negli ultimi anni si è andato evidenziando in tutta la sua
dirompente drammaticità. Nel 2018 i morti in Italia superavano di oltre 190 mila unità i
nati, una cifra quasi doppia rispetto ai centomila della media europea di quell’anno. In
questo non confortante scenario, ci sono poi realtà regionali-territoriali particolarmente
caratterizzate dal fenomeno dello spopolamento. Un esempio emblematico è rappresentato dalla Liguria, attualmente con meno abitanti rispetto a quanti ne contava nel 1951. Oggi ha una natalità più bassa di oltre il 20% rispetto alla già esangue media nazionale, e di oltre il 40 % rispetto a quella europea, con un tasso di anzianità doppio di quello europeo…In Liguria vivono infatti duecentocinquantadue ultrasessantacinquenni ogni cento ragazzi fino a 14 anni. Gli ultraottantenni superano di gran lunga i bambini da 0 a 9 anni. Nel 2018 la città di Savona con una popolazione di 61 mila abitanti contava 361 nati e 953 morti…
La drammaticità di questi dati non è comunque una prerogativa ligure, se è vero com’è vero che tutte le regioni italiane sono alle prese con questo forte processo di spopolamento, dove un po’ di meno come in Lombardia, dove un po’ di più come in Sardegna, territorio col più basso livello di fecondità in Italia, e forse nel mondo. La città di Cagliari ha la più bassa percentuale di natalità in Italia, in Europa, e verosimilmente nel mondo…
Tra il 2002 e il 2017 la popolazione residente in Italia è aumentata comunque di quasi 3,5 milioni, ma solo grazie al processo immigratorio in entrata, cioè dall’estero. E tuttavia, anche questo flusso esogeno non riesce a compensare l’inarrestabile e sempre crescente divario tra i morti sempre più numerosi, e i nati sempre più in diminuzione. Dal 2014 in poi l’Italia ha perso una media di 110 mila abitanti all’anno. Come per una frana o slavina di montagna che se non trova argini sufficientemente resistenti continua a venire giù ingrandendosi implacabilmente, così la denatalità italiana è destinata a crescere ad una velocità ancora più consistente di quella attuale, sia per l’invecchiamento sempre crescente della popolazione, sia per la decelerazione del movimento immigratorio, altrettanto crescente.
Le classi di età più giovani si assottigliano sempre di più mentre quelle
dei più anziani non fanno che aumentare a ritmi sostenuti, e dunque la denatalità unita alla minore immigrazione stanno portando ad un sempre più consistente spostamento della popolazione verso le età più avanzate della vita, a danno crescente delle fasce di
popolazione più giovani. Per completare il quadro già di per sé sconfortante, va detto che senza il contributo delle donne straniere residenti in Italia, le donne italiane in età feconda non arriverebbero al 40 % del totale della popolazione femminile, vale a dire 5 punti al di sotto della già bassa media europea, a fronte di una media mondiale del 51-52% !
Quali sono state le prese di posizione della classe politica italiana, delle élite intellettuali-dirigenziali davanti a questa che è una delle vere emergenze dell’Italia di oggi? Purtroppo per l’Italia contemporanea le sue classi dirigenti (come per altro anche quelle di epoche precedenti, con pochissime nobili eccezioni…) si sono dimostrate praticamente estranee a questa emergenza, prese come sono da tutt’altre logiche e interessi, che non sono quelli riguardanti i reali problemi della popolazione. Infatti se si escludono alcune sporadiche, flebili ed estemporanee dichiarazioni di stampo “moralistico-predicatorio” di qualche singolo, se si escludono alcuni “pannicelli caldi” come il bonus bebè o simili, spacciati per “grande rivoluzione sociale-civile” nessuno dei governi della repubblica degli ultimi quarant’anni ha posto un’attenzione prioritaria alla crescente emergenza demografica, divenuta ormai drammatica.
C’è inoltre da considerare l’emergenza sanitaria, sociale ed economica causata dall’attuale pandemia: secondo le più recenti proiezioni dell’Istat già nel 2019 i nuovi nati in Italia hanno raggiunto i 420 mila, dato minimo di tutto il tempo della storia unitaria italiana, cioè gli ultimi centocinquanta anni. E a fine 2020 scenderanno
a 408 mila, per ridursi ancora a 393 mila a fine 2021…
Davanti a questi numeri, qualche timida proposta ha iniziato a delinearsi. Ma siamo ancora nella fase degli annunci, delle propagande se non si avrà la forza, ma ancora di più la volontà di interrompere sterili “circoli viziosi” che da sempre caratterizzano la politica dell’Italia repubblicana, a cominciare dalle molte “clientele” politiche, fino alle enormi spese in armamenti a cui l’Italia è obbligata dalla sua alleanza militare con gli Stati Uniti. Tutte risorse vitali, che alla luce dei dati demografici sopra ricordati assumono una valenza ancora più significativa.
Tuttavia, per quanto importante, la riflessione sul dramma della denatalità italiana non ha, e non può avere, solo una caratterizzazione economico-politica.
C’è in ballo la visione della vita, del senso più profondo dell’esistenza di ciascuno, del tipo di persona, di famiglia, di società che si vuole, o non si vuole, essere.