Voci
Folgor
L’umidità dei sotterranei del castello penetra attraverso l’armatura fin dentro le mie ossa. Una sensazione piacevole, che ricorda i lunghi anni di servizio militare, quando lottavamo tra la vita e la morte, per sopravvivere, in luoghi più spettrali ed oscuri di questo. Ringrazio il mio corpo, temprato dalle difficoltà e dallo sforzo, per il suo servizio.
Ogni mattina ho l’onore di andare a trovare un ospite speciale, prigioniero nelle segrete della mia dimora. Quando Mesor ha annunciato la sua cattura, credevo si stesse prendendo gioco di me, fino a quando me lo ha mostrato personalmente. Fanor, il leader della fazione ribelle. Ho scaricato dentro di me gioia ed esultanza per il risultato ottenuto, costruito con lo sforzo, con il tempo e con le mie eccezionali abilità strategiche, per non mostrare la parte di me più entusiasta, infantile, debole. La mia parte che tengo sopita, ma che prova a liberarsi in queste rare occasioni.
“Fanor, sei pronto per il nostro incontro quotidiano?” domando con un ghigno.
È a terra tumefatto, in fondo alla cella, avvolto nell’oscurità. Le spalle e le braccia cadono senza energia sulla fredda parete. So benissimo che sta solo riposando. Anche se mi sono lasciato andare un po’ con lui, è un guerriero a tratti indomabile. La barba di qualche giorno, disordinata, copre il viso grigiastro. Dai freddi occhi verde smeraldo scendono dei sottili rivoli viola, ormai coagulati.
Non risponde, ma si alza lentamente e si avvicina con la sua enorme figura alle sbarre della cella, con lo sguardo ancora sfidante, orgoglioso e fiducioso.
“Sapevo di aver trovato un degno avversario, seguimi”.
Con le manette che serrano le sue mani, accompagno Fanor nella sala di allenamento, dove mettiamo in atto la nostra lotta quotidiana. Quando lo abbiamo catturato, era convinto di potermi battere. Mi ha detto che non ho le palle per fare uno scontro da vero Traeriano, che mi difendo dietro la mia autorità e che non ho il coraggio di sporcarmi le mani. Le stesse identiche parole che urlano i suoi stupidi seguaci. Allora ho deciso di fare un patto con lui. Ci scontreremo, senza l’utilizzo di armi ed armature, ogni giorno, fino a quando uno dei due prevarrà. Se perdo, sarò pronto a destituirmi, in caso contrario, Fanor entrerà a far parte delle mie fila. Spero di non ucciderlo, sarebbe un peccato perdere un Traeriano così forte e di animo nobile, il mio esercito ne ha bisogno.
Fino ad ora, in tutti gli scontri, non è mai riuscito a vincere ma, allo stesso tempo, non si è mai arreso. Gli tolgo le manette ed entrambi restiamo a petto nudo, schiena contro schiena. Lo sguardo di Mesor, che assiste allo scontro dal bordo della palestra, mi implora di fare piano e di non farlo fuori. Povera Mesor, un cuore così delicato. Ancora non si rassegna alla nostra vera natura, barbara e spietata.
Fanor si volta velocemente sferrando un pugno verso il mio viso, ma vedo con lucidità il movimento e lo schivo sferrandone a mia volta uno diretto al suo addome. Si allontana di qualche metro tenendo la mano destra ferma sul punto colpito, ansimando. Sono andato molto vicino al diaframma.
“Già fatichi a respirare?” Lo provoco, per scatenare la sua rabbia. “Oggi volevo farla finita con un solo colpo”.
Gli do tempo di riprendere fiato e faccio un gesto con la mano per incitarlo a venire a prendermi. Riparte subito all’attacco, ma il calcio indirizzato alla mia anca è lento e prevedibile. È stanco per tutti i colpi subiti questi ultimi giorni, non è più un avversario alla mia altezza. Gli schiaccio il piede destro per tenerlo fermo e lo colpisco con un montante sul naso. Il sangue viola schizza sul mio petto, ma questo non mi impedisce di assestare un calcio secco e diretto al suo ginocchio destro. Sento la sua fragile rotula spezzarsi, mentre le urla riecheggiano nella stanza. Cade a terra e gli scivolano sulle guance delle lacrime di puro dolore. Mi piego ed inizio a colpirlo sul volto. Una volta, due, tre, e ancora, mentre il suo viso si piega sempre più ai miei colpi.
“Folgor, basta!”
Mesor entra nel campo e prova a fermarmi. La allontano.
“E’ uno scontro tra Traeriani. Tu, donna, non devi intrometterti”.
Tuttavia la fragilità di Mesor placa di poco il mio cuore, quel tanto che basta a bloccarmi prima di farlo fuori. Gli alzo la testa e con gli occhi punto il suo sguardo vitreo. So che è ancora cosciente e che può ascoltarmi. È messo male, ma la sua resistenza va al di là delle ferite subite in questo scontro.
“Ascoltami Fanor, non voglio ucciderti. Dico seriamente. Ripensa alla mia proposta, ho dei grandi piani per te!”
Mollo la presa e dico a Mesor di chiamare un dottore per medicarlo. Io devo andare a fare una passeggiata nel boschetto del castello, nel verde, per sfogare del tutto la mia rabbia ed il mio rancore. Sentimenti che non riesco più a domare. L’aria fresca all’esterno mi riempe i polmoni. Giunto nel parco, mi siedo sulla panchina e guardo il cielo attraverso le fronde giallastre. Le voci che non riesco a placare non si fanno attendere per più di qualche istante.
Ti sei fatto di nuovo rammollire dalla tua Mesor, non dovevi ascoltarla. Mesor è l’unica persona di cui mi fidi e a cui voglio bene, non posso trattarla male o non ascoltarla. Stai diventando una femminuccia, la realtà è che non hai ancora deciso di abbandonarti alla tua ombra. Perché dovrei farlo? Non posso comportarmi come gli inetti che hanno governato Traer prima di me, io sono diverso. Io, cos’è IO? È un concetto da superare, sono qui dentro per questo, per aiutarti a tirare fuori la tua vera natura. Sì, una natura che porterebbe al collasso me e tutto quello che mi circonda. Perché, fino a ieri non volevi proprio questo? Le ombre, sono più forti, la loro verità è oggettiva, non lasciano spazio a pareri. Non è vero, non è vero!
La testa inizia a farmi male ed esplodo un urlo di dolore. Il respiro mi blocca e mi sento paralizzato.
Visto a dar retta alla tua luce? Stai male, non riesci a discriminare realmente. Ogni cosa che assume il significato di giusto dentro di te, contrasta con una realtà interiore totalmente differente. Abbandonati a me, io ti guiderò verso la tua reale missione. Non ho ancora deciso. Lo hai fatto eccome. Hai un grande potenziale.
Le ultime due frasi avevano toni differenti. Ero io a produrle?
Sì, parlo con te. Presto ci incontreremo. Ti ho scelto personalmente, quando ne avrai la possibilità, fai di tutto per avermi, non farti abbindolare o contrastare.
“Chi sei? Chi è che parla?” domando, alzandomi dalla panchina, mentre cerco intorno agli alberi la sorgente di quella voce.
Non c’è bisogno che tu lo sappia ora. Ti dico che io sono l’oscur…
Sento un ronzio provenire in alto nel cielo e, alzando lo sguardo, vedo un oggetto strano, di forma ovale, simile ad un aereo o ad un’astronave. Scompare immediatamente dopo.
“Ma che cazzo…”