Nei cinema italiani è possibile ammirare “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità” del regista statunitense
Julian Schnabel. Già nel 1996 Schnabel aveva dedicato un’opera cinematografica alla vita di un pittore, Basquiat (lui stesso si diletta nell’arte di dipingere tanto che alcune sue tele sono esposte in importanti musei internazionali). Il regista ha cercato di rendere omaggio al noto artista olandese ponendo in primo piano l’atto creativo che conduce alla genesi di un dipinto, atto avvertito come esigenza comunicativa.
Il film è stato presentato alla settantacinquesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e in quell’occasione l’attore protagonista, Willem Dafoe, è stato premiato con la Coppa Volpi per il Miglior attoreper la sua magistrale interpretazione che gli è valsa anche la candidatura ai Golden Globe 2019 come Miglior attore in un film drammatico. Dafoe è il vero valore aggiunto, a dare maggiore verità alla sua interpretazione contribuisce anche una certa somiglianza con Van Gogh, riesce inoltre, con la sola espressione dei suoi occhi, a mettere in scena i drammi, le insicurezze, gli sprazzi di gioia provati dal pittore di fronte all’immensità di uno spettacolo naturale.
Va assolutamente precisato che il film non si presenta con le intenzioni di un racconto biografico ma è la libera interpretazione che regista e sceneggiatori (Carrière, Kugelberg) danno degli ultimi anni di vita di Vincent.Nella pellicola si vedono celebri tele dell’artista prendere vita e si assiste all’avvicendarsi di episodi ormai avvertiti come tappe imprescindibili dell’esistenza del pittore (incontro con Gauguin, l’internamento nella casa di cura, il taglio dell’orecchio) ma anche, purtroppo, a fatti ed eventi inventati e presentati con estrema e superficiale leggerezza.
La pellicola tuttavia pone alcune perplessità. La macchina da presa cerca di riprendere e suggerire lo stato d’animo di Van Gogh ed ecco che si lancia in sequenze tremanti, circolari, animate e vorticose lasciando alla lunga una sensazione di eccessiva instabilità e fastidio nello spettatore.
Altro grande punto interrogativo riguarda la scelta della sceneggiatura di aver fatto propria la tesi di due storici dell’arte americani, Steven Naifeh e Gregory Smith, che ipotizzano come la morte del pittore non sia avvenuta per sua stessa mano ma sia stata la conseguenza di un colpo partito per errore dalla pistola di un sedicenne della zona. Ipotesi che, malgrado i loro tentativi di giustificazioni, non trova riscontro nel mondo accademico ma soprattutto nelle lettere scritte da Van Gogh e dalle testimonianze dei contemporanei, non ultima quella del fratello di Vincent, Theo, nelle cui braccia morì il pittore.
Nonostante i dubbi che il film lascia ad un pubblico che conosce bene la storia dell’artista va detto che la pellicola ha riscontrato un enorme successo, con sale gremite di spettatori, per un incasso di 2.596.746 € nelle sole sale italiane e, a due settimane dall’uscita, è ben saldo alla quinta posizione della classifica dei film più visti (dati Box Office Italia aggiornati al 17 gennaio 2019).
Questo buon risultato ancora una volta dimostra, semmai ce ne fosse bisogno, quanto sia stimato e apprezzato Van Gogh nell’immaginario collettivo e quanto egli rappresenti l’artista moderno per eccellenza, peccato che lui non poté mai godere di questo favorevole giudizio quando era in vita perché la sua unicità gli è stata riconosciuta dal grande pubblico solo dopo la morte.