Il Mar Mediterraneo è stato spesso protagonista di epopee, odi, poesie, canzoni. Solcato da navi fenicie, greche, romane, saracene, europee, turche e teatro di battaglie temibili, unico spettatore di affondamenti, ultimo testimone e consolatore dei morti che le sue acque hanno accolto nell’arco dei secoli. Quando si parla di migrazioni, di transumanze o anche semplici viaggi, le due metafore che vengono in mente sono o quella di un impervio sentiero di montagna, o quella di una rotta sul mare. C’è chi, per propria disposizione personale, preferisce viaggiare mantenendo la costa a vista, limitandosi alla propria “comfort zone”. C’è chi prova ad avventurarsi oltre le Colonne d’Ercole, che segnano il confine più occidentale del Mar Mediterraneo, lo sbocco verso l’oceano. E, infine, c’è chi è costretto ad imbarcarsi su una bagnarola, abbandonando le rovine che si lascia dietro le spalle, cercando di trovare una nuova patria, un nuovo porto. Ci fu Ulisse, che vagò per dieci anni alla ricerca di casa, per poi reimbarcarsi appena possibile, pronto ad avventurarsi oltre i confini del mondo. Ci fu Enea, costretto ad abbandonare la sua città, in fiamme e in preda al saccheggio acheo, alla ricerca del luogo promessogli dagli Dei, dove potersi stanziare e fondare una nuova città. Dopo un lungo peregrinare, si ritrovò alla foce del Tevere, dove un giorno i suoi discendenti fonderanno Roma.
Una delle isole che si affaccia sul Mare Nostrum (“mare nostro”, come veniva chiamato dai Romani), è stata ultimamente al centro di diatribe e discussioni: Malta. La sua posizione strategica, al centro del Mediterraneo, l’ha resa per millenni la base ideale per tutta una serie di colonizzatori: Fenici, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Siciliani, Spagnoli, Cavalieri di Malta, Francesi e, infine, sin dal 1815, Inglesi. Pare che persino San Pietro giunse sulla sua costa, se si tiene conto della sua identificazione con la “Melita” citata negli Atti degli Apostoli. L’indipendenza arrivò solo nel 1964, quando finalmente si sciolse il giogo del Commonwealth (sebbene ne sia ancora membro) che cingeva questa piccola isola – anche se per la cronaca si dovrebbe esplicare come siano in realtà cinque isole: Malta, Gozo, Comino e le disabitate Kemmunett e Filfla –. Dopo tanto succedersi di diverse etnie, religioni e nazionalità, Malta adottò una politica di neutralità, esplicatasi nel suo essere teatro dello storico incontro tra George H.W.Bush e Mikhail Gorbachev, che pose fine nel 1989 alla Guerra Fredda.
Ultimamente, la posizione geografica di Malta nel contesto dei flussi migratori e la sua posizione politica riguardo gli stessi, sono al centro di notizie e discussioni.
La versione del 2003 del regolamento di Dublino che verte sulla “gestione dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo” è stata confermata anche nel 2013 ed è ancora in vigore. Con l’articolo 13, dunque, lo Stato di prima segnalazione della presenza di migrante e dove è stata effettuata la prima richiesta di asilo è incaricato di prendersi cura del migrante. Da qui, ovviamente, questa regola va a caricare in modo ineguale i paesi di “frontiera”, come ad esempio Italia e Malta, che dovranno ospitare i richiedenti asilo fino a che la loro richiesta non verrà accolta o respinta. Nel frattempo, ai richiedenti asilo è vietata qualsiasi forma di retribuzione lavorativa o di carità che non siano quelle istituzionali: ovvero, alcune istituzioni espressamente incaricate dallo Stato percepiscono i famosi 35€ per ciascun richiedente asilo ospitato nella propria struttura. 35€ che verranno utilizzati per acquistare cibo e altri beni essenziali. Considerata la lentezza dei procedimenti messi in atto da quel mostro cingolante che è l’apparato burocratico, si comprende come mai “ ‘sti immigrati stanno solo qui a ciondola’”, sia ormai l’opinione prevalente degli avventori dei bar che trascorrono i pomeriggi sfidandosi a tressette, o di tutti coloro che si scambiano commenti volti a trascorre il tempo perso in estenuanti file ai supermercati o alle Poste Italiane. E Malta? Malta, semplicemente, chiude i porti, ignorando completamente le disposizioni del Regolamento di Dublino, facendo procedere molte navi verso i confini italiani. Ovviamente, questa polemica si basa su questioni di diritto internazionale dei migranti per le quali le ONG, infatti, quando raccolgono migranti in acque libiche, sono tenute a riportarli in suolo libico. Questo perché “formalmente”, la Libia è tenuta sotto controllo da un governo democratico. La realtà dei fatti, ovviamente, non concorda con i dati formali, e le persone fuggono da una Libia completamente devastata da guerre intestine. Dunque, l’impassepresenta un Regolamento che tiene sotto scacco i paesi di “frontiera”, Malta che chiude i porti aggrappandosi a postille del diritto internazionale e remando contro l’operato delle ONG, i paesi del Nord di estrema destra capeggiati dall’Ungheria di Orbán che non vogliono modificare il Regolamento evitando così qualsiasi traccia di “nero” nel loro territorio, i paesi del Mediterraneo che vogliono modificare il Regolamento inserendo articoli riguardanti un’equa redistribuzione del flusso migratorio che prenda in considerazione il PIL e la popolazione interna dei paesi ospitanti e Salvini che si dichiara contrario ai migranti e contemporaneamente appoggia la linea di Orbán, una linea che ovviamente porterà tutto il flusso migratorio sulle coste italiane. Un banalissimo gioco del Terrore, dove si parla solo di “sbarchi”, quando di sbarchi ce ne sono sempre meno, almeno a giudicare dagli ultimi dati ISTAT. Il Parlamento Europeo ha approvato la riforma dei paesi del Mediterraneo, ma il Consiglio Europeo continua a proporre modifiche “a ribasso” o addirittura il totale blocco della riforma.
Mentre le varie nazioni europee si guardano l’un l’altra guardigne e ringhianti, immobilizzate nel loro “stallo alla messicana”, Malta, un tempo terra di approdo di diverse popolazioni, sta cominciando a dimenticare la ricchezza che gli è pervenuta proprio in virtù dell’influenza di altre culture. La varietà porta ricchezza, sia economica sia culturale, e i porti chiusi non fanno altro che ottenebrare le menti di tutti coloro che si trincerano dietro barriere, che credono di difendersi dall’uomo nero, mentre in realtà non fanno altro che difendersi dall’apertura mentale, dal piacere della scoperta, dai rischi dell’avventura, dalla crescita personale, dall’adrenalinico gusto di cambiare idea e “spostare i propri limiti”, allargando la propria comfort zone sempre di più. Malta, e non solo Malta, dimentica quanto lo scambio e l’accoglienza giovino ai Paesi, non più costretti nella loro visione chiusa di un mondo circoscritto da muri. Dove nessuno può entrare, e nessuno ha più voglia di uscire. Malta, e non solo Malta, ha dimenticato che le isole sono per loro natura libere da confini, che le penisole fanno da collegamento e la loro essenza di “ponte di passaggio” arricchisce la loro cultura e che i continenti fioriscono quando c’è circolazione di idee, persone, merci.
Dopotutto, Enea, dopo aver vagato a lungo nel Mediterraneo, fuggendo dalla propria città in preda alle fiamme e al saccheggio, dopo aver sostato in varie isole e in vari approdi, acquisendo sempre nuove conoscenze, ha infine raggiunto la foce del Tevere. E i suoi discendenti fonderanno Roma, esempio lampante della potenza culturale che può raggiungere una forma mentiscosmopolita.