Un non-luogo conteso: il Kurdistan

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Ultimamente, giornali, radio e televisione incentrano molti reportage di cronaca internazionale dei loro notiziari sulla guerra che si sta svolgendo in Siria e, specialmente, su un luogo chiamato Kurdistan.

L’etimologia della parola ci fornisce abbastanza informazioni: –istan, dal persiano, “terra” e Kurdi, il nome di un’etnia. Dunque, la “terra dei Kurdi”. Secondo alcuni linguisti, il suffisso –istan, o –shtan, deriverebbe da shtana, ovvero “luogo”, “casa”, in sanscrito, ovvero un’antica lingua parlata nel subcontinente indiano.

Una delle cose più affascinanti del nostro pianeta, e potrei anche azzardare della nostra specie, è l’immensa varietà delle lingue che coesistono per tutta la durata del loro loro ciclo vitale: nascono, si trasformano, si sviluppano e infine, talvolta, muoiono. Inoltre, si potrebbe ben dire “dimmi che lingua parli e ti dirò chi sei”; infatti, la nostra madrelingua influenza il nostro approccio logico alla realtà. In altre parole, percepiamo tutto ciò che è intorno a noi anche in funzione della lingua con la quale pensiamo. Riuscire a trovare delle similitudini e dei punti in comune con culture differenti tramite le lingue diviene un esercizio di condivisione; si premetta il fatto che esistono diverse grandi “famiglie” linguistiche che accomunano molte popolazioni lontane nello spazio e, anche, nel tempo. Ad esempio, il cosiddetto “indoeuropeo” costituisce le radici delle lingue iraniche, come ad esempio il persiano, di quelle indiane, come il sanscrito o l’hindi, e di quelle europee. A volte questi legami sono più intuitivi, a volte meno: il suffisso –istan, “casa”, è presente anche nell’italiano “Stato”, nell’anglosassone State e nel russo –stan.

Dunque, una cosa che ci accomuna con culture molto differenti dalla nostra è la percezione del territorio dove “stiamo” come una “casa”. Questo potrebbe essere un interessante spunto di riflessione del perché sia così facile considerare lo “straniero” come un nemico che “invade”; ma è anche una delle strade che possono aiutare a capire la questione kurda.

Oggi il Kurdistan è diviso tra vari stati: gruppi etnico-linguistici consistenti sono presenti in Turchia, Siria, Iraq e Iran. Vari miti esogeni, tramandati da fonti in lingua persiana e araba,  vedrebbero i Kurdi come sudditi scappati dalle grinfie del tiranno cannibale Zahhāk, un re leggendario; altre fonti li vorrebbero probabilmente legati ai Ghassanidi, una popolazione che si trovava stanziata sul limes bizantino. In realtà, le problematiche riguardanti uno studio sistematico su chi siano i Kurdi, è da sempre strettamente legato con la politica e molti studi scientifici sono stati strumentalizzati per difendere il diritto all’autodeterminazione dello stato kurdo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, sembrava possibile che questo progetto si riuscisse a realizzare, complice la volontà degli stati europei di smembrare quel che restava dell’Impero Ottomano. Dividi et impera, dividi e regna, è stato spesso il motto neanche troppo celato dell’Europa quando si è trattato di mettere il naso negli affari degli altri continenti. Ma l’accordo Sykes-Picot, firmato nel 1916 da Francia e Gran Bretagna e concretizzato dopo la Conferenza di Pace a Versailles, sancì la nascita di Arabia Saudita, Giordania, Libano, Iraq, Israele, Kuwait e Siria. Non del Kurdistan.

Sebbene la storia specifica di ciascuna realtà kurda sia differente a seconda se si prenda in esamina il Kurdistan Turco o quello Iraniano, sicuramente tutti i moti nazionalisti ed indipendentisti vennero più o meno duramente repressi sin dal 1920. Ad esempio, dal 1961 i Kurdi iracheni condussero una guerra che, ad eccezione di alcune pause, durò fino al 1970, quando venne emessa una legge di autonomia. Solo quattro anni dopo venne cambiata, causando l’insoddisfazione dei Kurdi e una ripresa delle ostilità. In Iran, invece, dopo la rivoluzione di Khomeini del 1979, i Kurdi cominciarono a coniugare il moto indipendentista con la questione religiosa: in quanto sunniti, non hanno una vita facile in una teocrazia sciita.

Durante la Guerra tra Iran e Iraq negli anni 80, queste lotte insanguinarono ulteriormente i rispettivi paesi, già provati dalle battaglie “ufficiali”; nel 1991, approfittando della Guerra del Golfo in atto contro l’Iraq, le forze indipendentiste del Kurdistan iracheno, grazie al supporto statunitense, insorsero. Ottennero solo una durissima e crudele repressione, fino alla caduta di Saddam Husain, nel 2006, quando la nuova Costituzione gli confermò un’ampia autonomia.

In Turchia, sin dagli anni ’80 i Kurdi cercarono di mobilitare l’opinione pubblica e parlamentare con le azioni di partiti legali, tra cui si ricorda il HDP (Partito Democratico dei Popoli), con l’informazione promossa dal cosiddetto Parlamento kurdo in esilio e la lotta armata e le iniziative politiche del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, nato negli anni ’70).

 

Ricapitolando. C’è una popolazione che da secoli si ritiene un’etnia a sé stante, che parla una lingua imparentata con quelle delle culture vicine; le famiglie si tramandano da generazioni favole e tradizioni folkloristiche autonome e, complici spostamenti migratori avvenuti nel corso dei secoli, con un singolare sincretismo religioso-culturale. In Turchia, questa minoranza, alla quale è proibito partecipare a riunioni pubbliche dove si parli kurdo, ha scelto sia la lotta politica (con il HDP), i cui leader sono stati incarcerati nel 2016, sia quella armata, con un partito para-militare (PKK) che si è conquistato le antipatie del governo centrale, facendosi bollare come organizzazione terroristica.

In Siria i Kurdi non sono riconosciuti come popolo dalla Costituzione, ma nel 2013 il PYD, Partito dell’Unione Democratica del Kurdistan, ha istituito al confine con la Turchia un governo autonomo, il Sistema Federale Democratico della Siria del Nord, conosciuto come Rojava; definito come una forma di amministrazione politica flessibile, multi-culturale, anti-monopolistica e orientata al consenso, con il secolarismo, il femminismo e l’ecologismo come pilastri centrali. Durante il mese del marzo di quest’anno, la capitale Afrin è stata bombardata dall’esercito turco. Ad oggi, l’intera città sta cercando di scampare all’assalto attraversando il deserto.

In Iraq, dopo il genocidio consumato negli anni ’80, il Kurdistan è considerato da poco più di un decennio una regione indipendente che viene sottoposta costantemente ad un braccio di ferro con il governo centrale, perché vorrebbe ottenere la conferma di tutti gli articoli della Costituzione riguardanti la sua autonomia. Compresa la questione sulla città di Kirkuk, posizionata al confine con l’Iraq, ricca di petrolio, abitata principalmente da kurdi, e tuttavia contesa da Baghdad.

Infine, in Iran, sebbene esista una provincia chiamata Kurdistan, non sono ammessi dal regime teocratico moti indipendentisti. Pena, la morte.

Nessuno dei paesi coinvolti accetterebbe mai la nascita di un paese kurdo, la perdita di porzioni ampie di territorio e delle materie prime, fra cui il petrolio, di cui è pieno il sotto suolo della “casa dei kurdi”, del Kurdistan.

Peccato solo che il petrolio sia una materia facilmente infiammabile.

PER LA FOTOGRAFIA SI RINGRAZIA AILA SANTI