Le riflessioni di Eduardo al Teatro Argentina con “L’arte della Commedia”

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Foto: Anna Camerlingo

Una riflessione sul teatro, sulla vita, sull’identità umana, sul rapporto con il potere, sul posto che l’uomo occupa nella società. Temi sempre attuali, che non scadono, riflessioni che ci riguardano da vicino, sempre. Ad affrontare le difficili questioni del vivere quotidiano, delle relazioni private e pubbliche tra gli esseri umani è “L’arte della Commedia”, l’opera di Eduardo De Filippo, che fa parte della raccolta dei “giorni dispari”, le commedie scritte dal dopoguerra in poi. Un testo attuale, che porta a confrontarsi con la mortificazione e la censura della cultura attraverso un’ambigua e allo stesso tempo tragica e farsesca commedia in due atti e un prologo. Scritta nel 1964 è un’opera poco frequentata, pur essendo un testo magistrale, di ampio respiro. “L’arte della commedia” parla del rapporto contradditorio tra lo Stato e il “Teatro” e del ruolo dell’arte e degli artisti nella nostra società. Le domande, i dubbi, le responsabilità, i vincoli e le debolezze che Eduardo mette in campo riguardano tutti e quel “Teatro”, sia esso una compagnia teatrale, una comunità o un piccolo mondo, si fa risuonatore del nostro rapporto con il potere e con il bisogno di essere ascoltati e soprattutto riconosciuti. A portarla in scena è Fausto Russo Alesi, suoi sono adattamento e regia. Lo spettacolo sarà dal 7 al 19 maggio al Teatro Argentina. Come spiega lo stesso Alesi: “Ho iniziato a studiare L’arte della commedia prima della pandemia per la forza e la lucidità con cui Eduardo si occupa della condizione dell’attore. La commedia oggi mi parla ancora di più, perché è difficile rimarginare la ferita che in questi anni ci ha portato fin qui e non riesco ancora ad accettare che da quasi tre anni molti di noi non stanno più andando in scena e che molti teatri e compagnie siano costretti a chiudere definitivamente, a bruciare spettacoli appena nati, a non portare più gli spettacoli in giro per il mondo – afferma -. Ognuno di noi a suo modo, ha subito e subisce ancora l’incendio di quel ‘capannone’ a cui ha dedicato tutta la sua passione, tutte le sue energie, tutta la sua fiducia. Ed è da quelle ceneri che deve nascere la voglia e il diritto di ricostruire, rivendicando un dialogo e un ruolo determinante che, fuori da ogni censura, non sia schiavo silente delle leggi della produttività e del mercato”. Alesi prosegue, aggiungendo: “Mi piace anche sottolineare che Eduardo De Filippo, per raccontarci del suo pensiero sull’arte e per sollecitare l’attenzione del fondamentale personaggio del Prefetto, ci inviti a spiare da un metaforico buco della serratura le storie di esseri umani, cittadini, professionisti che ricoprono un ruolo essenziale nella società e che per questo appunto pretendono di essere ricevuti. E non è ovviamente un caso che i ruoli che qui scrive per la scena diano proprio voce alla cultura, alla sanità, all’istruzione, alla legge e a un rappresentante della Chiesa: tutti riferimenti sociali imprescindibili, tutte priorità sul tavolo su cui e con cui confrontarsi. Eduardo così tira fuori il suo rospo in gola, non fa sconti a nessuno e affronta verità e tematiche incandescenti: la fede e la scienza, il divorzio e l’aborto, la corruzione e l’immobilismo di un intero Paese, rivendicando con forza la funzione del teatro di farsi veicolo e di insinuare il dubbio nello spettatore, attraverso una raffica d’interrogativi irrisolti e soprattutto attraverso un intenso primo piano sulla faccia e sul corpo dell’attore”.