Ripensare e riqualificare le Università pubbliche: alcune riflessioni e proposte – 2

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Le riforme concorsuali legislative, farraginose e burocratiche, come per esempio l’ Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), lungi dal risolvere il problema, lo hanno incancrenito perché reso il sistema stesso rigido e poco flessibile soprattutto alla mobilità in entrata ed uscita dai differenti Atenei, spesso predeterminato. Oggi il concorso locale è spesso “finto” ma assai ben preparato con i famosi “TRE SEMAFORI” e la sua preparazione comincia già da dieci-quindici venti anni prima del suo espletamento, con la adeguata implementazione bibliometrica del candidato prescelto: questo porta ovviamente ad un fenomeno di gestione iper-verticistica degli Atenei con i Rettori-sovrani assoluti degli Atenei che si costruiscono pure un parlamento (privato) dove proporre e discutere i cambiamenti del sistema (CRUI e Senati Accademici). La bibliometria dei fortunati candidati prescelti è spesso improponibile, irreale e porta molte volte a sospettare il fenomeno delle frodi scientifiche variamente associato al nepotismo, al familismo ed al clientelismo.
Da decenni, abbiamo sentito dire e proporre di tutto sul corpaccione malato del sistema universitario italiano, a ragione ed a torto: contrattualizzazione dei docenti, costituzione di “poli di eccellenza” con connesse premialità (economiche) per le loro strutture “eccellenti”, lauree professionalizzanti, minilauree dai nomi improponibili, nuovi e fantasiosi corsi di dottorato applicati e paralleli a quelli attuali, costituzione di Fondazioni universitarie di tipo privatistico che intercettano spesso fondi pubblici. Il tutto in una logica pseudo-meritocratica e pseudo-competitiva dettata da quel “mercato del lavoro” che punta ad azzerare la libertà di insegnamento e di ricerca e a mettere l’Università al servizio degli interessi concreti e immediati delle aziende o dei gruppi di pressione più o meno legali e di coloro che vogliono gestire una Istituzione pubblica in maniera privatistica (atenei aziende). Ma senza mai entrare nel vivo del problema, cioè del preconfezionamento della futura classe dirigente universitaria.
Noi crediamo fortemente che le Università italiane siano troppe, mal distribuite nel territorio nazionale, assolutamente poco specifiche e specializzate, quasi mai legate a realtà esterne importanti sia di tipo culturale che industriale sia italiano che europeo. Si, perché oggi in un epoca profondamente globalizzata si deve pensare e parlare prima di tutto “europeo” e poi italiano, soprattutto se vogliamo fare un prodotto dei nostri giovani di valore elevato.
Nel caso delle Facoltà di Medicina, inoltre, le normative degli ultimi 25 anni hanno letteralmente annichilito la autonomia ed originalità (vera risorsa che ci aveva fatto primeggiare al mondo nel settore) della componente accademica della sanità italiana, attraendo i Policlinici e gli ospedali di insegnamento sempre più verso logiche e finalità economiche e di risultati “aziendali” impoveriti, deficitari spesso e molto regionalistici. Da qui la esplosione vertiginosa dei deficit, lo strapotere di improponibili Direttori Generali, dei disavanzi annuali, dei costi delle forniture di beni e servizi a tutto discapito della spesa per risorse umane universitarie di insegnamento e di ricerca.
Quindi, prima di rifinanziare il sistema universitario (cosa verso cui sembra ci stiamo indirizzando mediante la logica del Recovery Fund Europeo), esso andrebbe a nostro giudizio assolutamente ripensato e ridotto di numero e di tipologie nelle sue sedi periferiche, onde poter consentire una maggiore attrattività dello stesso verso gli studenti. Sono troppi in Italia 80 Atenei così distribuiti ma soprattutto va combattuto il finanziamento a pioggia del sistema e vanno incentivate le riunioni e fusioni di Atenei sia amministrative che di settore.

Dott. Francesco Russo
Medico-Chirurgo
Ricercatore Confermato
Università di Roma Tor Vergata
francesco.russo@uniroma2.it