La recensione: “Memorie dal sottosuolo”

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Sembra un azzardo mettere in scena un’opera complessa come Memorie dal Sottosuolo di Dostoevskij. Nicolas Gallo ne fa una riscrittura scenica ridotta all’essenziale, senza risultare eccessivamente prolissa e ridondante, e la rende fruibile anche a chi non ha mai letto il romanzo originale. Dal testo prende spunto, ne coglie i tratti salienti ed essenziali alla comprensione di un’opera tanto complessa quanto universale.

Lo spettacolo inizia con un monologo del protagonista, un ex impiegato statale, interpretato da Demian Aprea, che entra in scena portando con sé un candelabro, e che, in un gioco continuo di luci ed ombre si muove seguendo il ritmo di una narrazione serrata del proprio stato d’animo.

E’ un aspro monologo di critica sociale, quello del protagonista, ma anche un’acuta indagine del proprio inconscio, costretto a vivere e relazionarsi con una società mediocre in cui è estremamente difficile la comprensione di sé stessi e degli altri. E’ sostanzialmente la storia di un fallimento, da cui è impossibile estraniarsi, con cui, volente e nolente, si è costretti a convivere.

I cambi di ritmo sono evidenti, tutte le pulsioni dell’animo sono eviscerate dalla partitura perfetta che Aprea ha saputo costruire del suo personaggio. Si muove in scena all’interno di una scenografia essenziale costituita da una scrivania ed una sedia. Porta pochi oggetti con sé: un foglio di carta, ed una penna, su cui tenta di fissare il proprio dramma, quello di essere un uomo molto riflessivo, e quindi incline ad una profonda accidia, completamente all’opposto dei cosiddetti uomini di azione, che riescono a perseguire con certezza i propri scopi.

A tratti, però il protagonista sembra compiacersi del proprio stato d’animo, è felice, comunque, di vivere nel buio del sottosuolo, in quanto critica aspramente le certezze della società, alle quali contrappone la propria volontà individuale, il proprio ego, in nome del quale è stato anche disposto a rinunciare ai propri vantaggi. Nel suo racconto entra in scena un ricordo, ed ecco che il pubblico viene portato in una casa di tolleranza, in cui il protagonista, stavolta interpretato dal giovane Andrea Zanacchi, incontra una prostituta (Giorgia Fabiani). L’atmosfera cambia completamente registro stilistico, nel dialogo decadente tra i due personaggi traspare la malignità dell’uomo nell’atto di irretire, ferire e poi umiliare una giovane fanciulla che svolge il mestiere più antico del mondo. Ed il protagonista non sembra rendersi effettivamente conto che il fare del male agli altri è un godimento fine a sé stesso, se non fosse che la propria coscienza, interpretata da Nicolas Gallo, lo fa ulteriormente riflettere sulle proprie azioni e sul proprio stato d’animo, e sulla propria volontà di autodistruzione

Lo spettacolo cresce nuovamente e volutamente di ritmo, la profonda inquietudine di cui soffre il protagonista, qui nuovo adulto, chiude così i ranghi della narrazione, che si è svolta nel complesso secondo un metaforico fluire tra vasi comunicanti, costituiti da situazioni spazio-temporali mutuati tra loro con indiscutibile sapienza registico, alla continua ed instancabile ricerca di riferimenti dal sottosuolo, ricerca che viene inevitabilmente trasformata in quella morbosa e sublime ossessione che il grande scrittore russo ha reso universale in questa, come in altre opere, e che nella rappresentazione di Nicolas Gallo è stata colta e rielaborata in un’ottica del tutto contemporanea.

Carlotta Scuderi