Sono 2.171 le persone che vivono a Tor Bella Monaca e sono sottoposte a misure alternative alla detenzione, spesso per reati connessi dalla droga. A spiegarlo è un articolo di La Repubblica, che definisce come “carcere a cielo aperto” un quartiere di 28.000 abitanti con una densità di popolazione dieci volte superiore a quella di Scampia. In Italia, secondo i dati del Ministero della Giustizia, i condannati definitivi che stanno scontando misure alternative alla detenzione sono 95.315, 10.000 in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A Tor Bella Monaca, ad esempio, 787 persone stanno scontando la detenzione o gli arresti domiciliari. A queste si aggiungono i detenuti che hanno ottenuto un permesso premio per lasciare il carcere e rimanere nelle proprie case senza possibilità di uscire: sono 47. Un totale di 929 persone è stato raggiunto da un provvedimento del questore. Un dato spiega bene la situazione: 190 persone devono recarsi regolarmente in un commissariato di polizia per firmare, come misura di controllo. Altre 235 devono presentarsi presso una caserma dei carabinieri. Tra la stazione di Tor Bella Monaca, il distretto Casilino e la caserma di Tor Vergata, ogni giorno si formano code. Alcuni firmano quotidianamente, altri tre volte alla settimana, altri ancora solo una. Ci sono 30 persone, ad esempio, a cui è vietato di partecipare alle manifestazioni sportive perchè sottoposti a daspo. Nel quartiere ci sono anche due persone che hanno ottenuto un permesso premio e una con obbligo di soggiorno per mafia, residuo di una legge ormai abrogata. E poi ci sono 200 “soggetti”, come vengono definiti negli atti ufficiali, controllati a distanza tramite un braccialetto elettronico. Qui una parentesi è d’obbligo: spesso questi dispositivi non funzionano, si scaricano, generano falsi allarmi. Di conseguenza, una volante della polizia o una gazzella dei carabinieri deve intervenire per verificare. Talvolta si tratta di un errore tecnico, altre volte no. In ogni caso, ciò comporta un ulteriore carico di lavoro per le forze dell’ordine, già impegnate a contenere il dilagare della droga prima che straripi. Tra le strade del più grande supermercato della droga, ci sono anche 12 detenuti autorizzati a lavorare esternamente, svolgendo lavori di pubblica utilità. Altri 51 stanno scontando una sorveglianza speciale. Nei palazzoni di 15 piani, sovraffollati e degradati, mancano all’appello 44 persone: sono i residenti colpiti da un divieto di dimora, obbligati a lasciare il quartiere. Un numero ridotto rispetto a chi, invece, è costretto a restarci a causa di un provvedimento cautelare. Un record assoluto, quello delle misure alternative alla detenzione nel quadrante sud-est di Roma. A Roma si parla di un grande carcere a cielo aperto, o meglio, di una comunità di “non recupero”. Spesso, infatti, la misura cautelare impone di restare nello stesso quartiere dove è stato commesso il reato. E spesso, come denunciano da anni gli operatori sociali, le misure alternative non sono affiancate da politiche di recupero che vadano oltre il controllo giudiziario, offrendo opportunità di lavoro e formazione.