Intervista ad Antonio Turco, responsabile della compagnia “Stabile Assai” alla regista e agli attori della compagnia
La Compagnia Stabile Assai della Casa di Reclusione Rebibbia di Roma è attiva dal 1982 con la partecipazione al festival di Spoleto. Questa nell’arco di quasi quarant’anni di at-tività si è esibita in una moltitudine di teatri, centri culturali e luoghi istituzionali ed è costituita da detenuti, detenuti in regime di semilibertà, operatori carcerari e musicisti.
Antonio Turco, classe 1952, è il figlio di Luigi Turco, membro influente della Commissione Giustizia presieduta dall’onorevole Salvo Andò, che ha portato alla stesura prima e alla firma poi, nel 1986 della legge Gozzini, provvedimento legislativo che prevedeva di valorizzare l’aspetto rieducativo della prigione a scapito di quello punitivo
Antonio come nasce la passione per questo tipo di teatro?
Io nasco come educatore per adulti, con una formazione universitaria, negli anni ho maturato la con-vinzione che il carcere non è la sola e unica soluzione per risolvere i problemi legati alla giustizia, alle implicazioni e i riflessi sulla società. C’è stato negli ultimi anni un ribaltamento, ossia si stanno per-dendo man mano tutte le conquiste fatte nei decenni scorsi sulla e un imbarbarimento dei modelli nel 1980 mettiamo in piedi, per la prima volta, uno spettacolo per detenuti. Nel 1982 esattamente il 5 luglio, abbiamo il primo esordio come compagnia “Stabile Assai” al Festival di Spoleto. Da allora ci siamo esibiti, oltre che tra le mura carcerarie in teatri, siti istituzionali, tra cui spiccano il teatro Pa-rioli e la camera dei deputati nel 2009.
Per le vostre performance attingete ai classici o sono testi originali.
Per le prime rappresentazioni ci siamo affidati alla letteratura teatrale d’autore, infatti nel 1984 ab-biamo portato in scena “L’Antigone”, successivamente abbiamo iniziato a scrivere testi nostri, in col-laborazione con gli attori. Nel 1986 il nostro primo lavoro “Bazar napoletano”, scritto con uno degli storici della compagnia, Cosimo che conosceremo più tardi.
I temi dei vostri testi e delle rappresentazioni sono prettamente riferibili al mondo del carcere.
No, assolutamente, il nostro lavoro non ha come riferimento solo il mondo carcerario. Temi come la follia, che la situazione carceraria può esasperare, che è comunque un disagio sociale lo abbiamo trat-tato in “Nella testa un campanello”. Mentre in “Fine pena mai” trattiamo invece un argomento stret-tamente carcerario come quello dell’ergastolo. Uno dei nostri primi lavori invece parla di Carmine Crocco, storica figura del brigantaggio italiano, performance che ripercorre le vicende dei primi anni dell’unità d’Italia e della questione meridionale.
Marco Abbondanzieri