Lo studio dei ricercatori è stato condotto su quattro carote di sedimenti marini prelevate nella regione artica al largo delle isole Svalbard (Mare di Barents) nel corso degli ultimi anni, durante alcune crociere scientifiche oceanografiche condotte in collaborazione con diversi istituti di ricerca ed università tedesche, spagnole, norvegesi e danesi.
La misura e le successive analisi dei dati relativi al magnetismo fossile preservato nei sedimenti hanno permesso di ricostruire il paleomagnetismo degli ultimi 11.700 anni e di evidenziare gli spostamenti del polo geomagnetico. Per esempio, circa 3.200 anni fa, esso doveva trovarsi in corrispondenza della Russia europea, mentre nell’arco di circa 1.200 anni si sarebbe spostato fin nei pressi dell’isola di Ellesmere, subito a nord ovest della Groenlandia, a circa 3.400 km di distanza, disegnando una traccia piuttosto arcuata lungo il Mare di Barents ed il Mar di Groenlandia.
“I risultati ottenuti – spiega Chiara Caricchi, ricercatrice INGV e prima autrice dell’articolo – hanno permesso di evidenziare come, durante l’Olocene e per lunghi periodi tempo, tale movimento sia stato variabile ed imprevedibile, comprendendo momenti in cui la posizione del paleopolo è stata sostanzialmente stabile, con una migrazione breve ed in zone confinate, e momenti in cui lo stesso ha accelerato sensibilmente il suo moto, coprendo in poco tempo distanze molto grandi”.
“Tale fenomeno – continua la ricercatrice – è relazionato a complessi processi che avvengono all’interno della Terra, in una zona al confine tra il mantello terrestre ed il nucleo esterno fluido”. A circa 3.000 km di profondità, nel cuore della Terra, flussi di ferro liquido formerebbero delle onde “idromagnetiche” che influenzerebbero la struttura del campo magnetico terrestre, provocando gli impulsi geomagnetici osservati dagli studiosi (uno degli ultimi nel 2016) ed anche, probabilmente, lo spostamento del polo.
Tuttavia, la dinamica non è stata ben compresa dalla comunità scientifica ed ulteriori studi sono necessari per migliorare la comprensione di alcuni fenomeni che avvengono a migliaia di chilometri sottoterra.