La costruzione della Grande Muraglia Cinese e i muri della nostra società

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Esiste un posto, nel nostro pianeta, che è visibile persino dallo spazio. Più che un posto, si tratta in realtà di una costruzione, conosciuta in Italia come la Grande Muraglia Cinese e chiamata in patria ‘Wan-Li Ch’ang-ch’eng’, ovvero ‘il muro lungo 10000 li’. La parola ‘li’ indica un’unità di misura usata per indicare le lunghezze, così come noi utilizziamo il metro. In realtà, questa immensa difesa è composta da vari muri, alcuni dei quali paralleli gli uni con gli altri, costruiti nell’arco di circa due millenni, e da alcune barriere naturali (ovvero, fiumi e montagne). Le fonti storiche riportano come il primo ad aver connesso le varie sezioni di mura difensive fu l’imperatore Qin Shihuang, nel III sec. a.C. Questo imperatore, tuttavia, è più famoso per il favoloso esercito di terracotta posizionato al di fuori del suo enorme mausoleo con l’intento di accompagnarlo nel suo viaggio ultraterreno, oppure per essere stato rappresentato nel film wuxia ‘Hero’ come un tiranno la cui crudeltà è considerata necessaria per ottenere un ‘Fine Superiore’. Sebbene il termine wuxia significhi letteralmente ‘eroi marziali’ e sia stato usato per definire un particolare filone di film cinesi concernenti gli eroi delle arti marziali nella Cina antica, in realtà Hero si ispira a eventi realmente accaduti. Qin Shihuang riuscì ad ‘unificare la Cina’: da semplice re dello stato di Qin annesse gli altri Stati all’ombra del suo trono di primo Imperatore, mettendo fine alla così detta ‘Era degli Stati Combattenti’, durante la quale i sette regni principali si erano combattuti strenuamente per ottenere la supremazia. Tra le sue riforme si ricordano l’universale standardizzazione di pesi, misure, alfabeto, linguaggio e leggi. Tutto ciò che non fosse ‘Qin’ (e se si considera che seguendo la fonetica cinese la nostra q viene letta come una c dolce, si comprende da dove provenga il nome moderno) sarebbe stato considerato fuorilegge. I conflitti del potere temporale con gli studiosi Confuciani portarono al famoso rogo dei libri del 213 a.C., dove vennero bruciati tutti i libri che non si occupassero di agricoltura, medicina o divinazione; le uniche e sole eccezioni? Gli annali del regno di Qin. Vennero così completamente cancellate moltissime tracce della storia e della cultura degli altri paesi, ormai inglobati. Ormai minoranza e, perciò, privi del diritto di poter esprimere la propria identità. Nonostante altre riforme del tutto moderne, soprattutto concernenti l’agricoltura e l’amministrazione burocratica e militare, il regno di Shihuang viene ricordato come un periodo storico durante il quale la legge draconiana prese il sopravvento, dove la cultura venne messa al rogo, le minoranze cancellate e le frontiere difese da un altissimo muro. Un muro che, secondo le antiche canzoni, poggia su fondamenta costruite sulle ossa dei muratori morti per la fatica dovuta allo sfruttamento intensivo e i cui mattoni furono cementati con malta e sangue. Un muro che serviva a dividere il civile regno di Qin, ora unificato, dalle incursioni dei nomadi Xiongnu. Un muro che non fu il primo e non sarà l’ultimo ad essere eretto come ultima difesa dal barbaro, dal nemico, dal mostro. Ovvero da tutti coloro che non riconosciamo come simili e la cui sola presenza, la cui sola esistenza basta ad essere percepita come un ‘attacco’. In periodi di grandi cambiamenti, di modifiche, di spostamenti migratori, di disordini interni, ‘l’ordine costituito’ sente il bisogno di mettere un po’, appunto, di ordine. Così, si comincia con il concedere la violenza, a piccole dosi, per garantire l’ordine e combattere il ‘degrado’; peccato che la violenza sia come una pericolosa droga e ci si assuefa velocemente: ben presto tocca aumentare le ‘dosi’. Un altro processo è quello dell’impoverimento culturale: quando uno stato o una cultura o una popolazione si sente attaccata, deve pensare al fabbisogno necessario alla sopravvivenza e non può perdere tempo con ‘mollezze’. I privilegi delle intellighenzie vengono abbattuti, i professori vengono arruolati e i roghi accesi. Il nemico è alle porte, assume fattezze di ‘mostro’, di ‘uomo nero’, di ‘barbaro’; l’operazione di disumanizzazione è fondamentale per riuscire ad epurare qualsiasi scintilla di empatia o compassione. Porte vengono sprangate, muri vengono innalzati. All’interno del ‘Regno Felice’ dove il decoro regna sovrano, dove non vi sono facce straniere, viene annichilita la complessità, la diversità e il dinamismo a favore del patriottismo, dell’uniformazione e della sovranità.
L’unico problema, quello che non riescono a comprendere gli Shihuang di tutte le epoche, e tutti i loro followers, è che quando ci si ritira nel proprio angolo di mondo per poter vivere un’esistenza priva di pensieri e, potremmo osare, superficiale, si trascorreranno dieci notti e dieci giorni raccontandosi favole cercando di mantenere fuori la Peste. Chiudendo qualsiasi accesso al mondo, al resto del mondo, in realtà non si fa altro che spegnere la scintilla di umanità che ciascuno di noi porta nel proprio animo. Perché la nostra umanità ha bisogno di ossigeno, di movimento, di scambi di idee e di confronti. E continuare a ballare, completamenti incoscienti ed ebbri della propria chiusura mentale, non fa altro che portare oscurità, e muraglie.