Viaggio nella Siria di Aeham Amad, autore di “Il pianista di Yarmouk”: storia e musica tra guerra e orrore

20372

Yarmouz, notturno siriano

“Nella musica occidentale un’ottava si divide in dodici semitoni, in quella orientale in diciotto quarti di tono. Per questo non si può suonare la musica araba tradizionale con un pianoforte o una chitarra.”

Per tutti i coloro i quali il linguaggio musicale risulti ostico quanto l’arabo, una frase del genere sembrerà una semplice affermazione ad effetto, trovata e subito scordata leggendo le pagine de “Il Pianista di Yarmouk”, di Aeham Ahmad. Eppure, sebbene apparentemente quasi prive di senso, queste parole spingono ad una riflessione più profonda: non si può suonare la musica araba con un pianoforte o una chitarra, e non ci si può approcciare ad una cultura differente con il proprio bagaglio culturale. Solo liberandosi dagli orpelli dati dei secoli studiati a scuola, scrollandosi di dosso la polvere marmorea dell’Impero Romano, posando i secoli del Medioevo e riponendo le idee Illuministe, sarà possibile il tentativo immergersi in un modo differente di concepire la realtà. Solo in questo modo si potrà provare a suonare in diciotto quarti di tono, seguendo le melodie composte da Aeham Ahmad. Un libro da leggere da un fiato, con l’accompagnamento del dolore cantato dalla cantante libanese Fairouz, che evocherà immagini e contorni reali. Ad un orecchio occidentale, la musicalità araba viene percepita come minimo “lamentosa”; per questo, per poterne godere appieno, occorre liberarsi da preconcetti ed esperienze pregresse.

La storia raccontata da Aeham ripercorre i passi di un palestinese di terza generazione, nipote di immigrati che nel 1948 si rifugiarono in Siria.

Questo paese, da secoli teatro di conflitti e pretese politiche, venne “creato” dopo la Prima Guerra Mondiale grazie alla caduta dell’Impero Ottomano e alla meglio conosciuta “rivolta araba”. Il figlio dello sceriffo della Mecca, Faisal, famoso per essere stato interpretato da Omar Sharif nel film “Lawrence d’Arabia”, proclamò nel 1920 la nascita del regno indipendente della Grande Siria, che comprendeva anche gli odierni Libano e Palestina. Il suo regno durò ben poco: dopo appena un anno, la Francia conquistò la regione, dividendola in quattro sotto-regioni. Solo nel 1942 riottenne, unificata, l’indipendenza; nonostante la Francia continuasse ad avanzare pretese.

L’instabilità che ha contraddistinto questa ragione trae la sua “linfa vitale” nelle radicate divisioni etnico-religiose e nei forti squilibri economici e sociali; ciò, unito alla sconfitta subita nella guerra arabo-israeliana, causò un regime militare negli anni che intercorsero tra il 1948 e il 1958. In questo contesto va inserita l’emigrazione di migliaia di palestinesi che trovarono rifugio in Siria dopo essere stati cacciati da quel che era da secoli la loro terra. In particolare, a Yarmouk, una città appartenente alla provincia di Damasco, costituita dai discendenti dei rifugiati. Nel 1958, la Siria venne unificata con l’Egitto di Nasser anche grazie alla fazione panaraba, che sognava l’unità del popolo arabo. La RAU, meglio conosciuta come Repubblica Araba Unita cadde, però, dopo soli 3 anni, quando un colpo di stato operato dall’esercito non riportò la Siria all’indipendenza. Il partito guidato dal generale ba’thista (ovvero appartenente al partito nazionalista Ba’th, di ispirazione socialista) Hafiz al-Assad instaurò, nel 1970, una dittatura quasi personale. Da qui, le vicende del paese si intersecano sempre di più con quelle delle regioni limitrofe: Israele, Palestina, Libano, Egitto e Giordania. Le alleanze, le guerre, i protettorati e le coalizioni si sono succedute nell’ultimo quarto del secolo scorso seguendo i movimenti di un minuetto ben ritmato e sempre in chiave anti-israeliana. Con lo scadere del secolo, nel 2000, e la morte di Assad padre, il figlio Bashar succedette alla presidenza. Le danze continuarono, Bashar a braccetto con ambigui gruppi considerati terroristici causò la disapprovazione e le sanzioni da parte degli US; il Presidente, dunque, si rifugiò tra le braccia della Turchia e dell’Iran dapprima, e in seguito anche dall’Iraq, tanto da riuscire a riottenere l’approvazione dell’UE e di Washington.

Nel 2011, i movimenti si fanno sempre più precipitosi: violente proteste di piazza per un regime dittatoriale si trasformano in una guerra civile che vede schierate le forze del regime con Iran, il gruppo sciita libanese Hezbollah, Iraq e Russia contro l’opposizione armata (FSA, ovvero il Free Sirian Army), in prevalenza sunnita, che ha dalla sua parte Arabia Saudita, Qatar, Emirati, US, Francia, Regno Unito e Turchia.

Nonostante la riconferma alla presidenza di Assad, la situazione si aggrava ulteriormente nel corso del 2014 a causa dell’espansione del gruppo jihadista conosciuto come IS e con l’aggravarsi dei conflitti; inoltre, il Fronte al-Nusra, nato nel 2012 come branca siriana di al-Qaida e dell’IS si è buttato a capofitto nella mischia, vedendo l’opportunità di far nascere uno Stato Islamico in Siria.

Nel corso degli ultimi anni, si sono scontrati ad Aleppo, a Khan Sheikhoun, Douma (etcetera) l’esercito di Assad e i vari fronti dei ribelli, sempre più spezzettati e in contrapposizione; ad esempio, sin dal 2014 il Free Sirian Army ha cominciato a combattere le frange più estremiste, come al-Nusra e l’IS.

Chissà quando gli strumenti solisti siriani potranno continuare a suonare il taqsim, ovvero il preludio estemporaneo in ritmo libero; per ora, il fragore delle bombe e le orchestre sinfoniche occidentali non permettono un facile ascolto di melodie differenti, in diciotto quarti di tono. Il libro di Aeham Ahmad esplica perfettamente le ragioni dei civili, ovvero di tutti coloro che conducevano una normalissima vita che è stata spazzata via, crivellata e bombardata negli ultimi sette anni. Le sue parole sono una melodia, un lamento funebre, un notturno suonato con un pianoforte in onore a un paese devastato e che ci ricordano come, in realtà, l’unione di culture differenti è possibile, ed è auspicabile in virtù dell’intrinseca necessità umana di arricchirsi, di allargare i propri orizzonti, che siano musicali, storici o letterari. Leggere “Il Pianista di Yarmouk” vi trascinerà attraverso un viaggio tra le macerie di Damasco; ne uscirete con le lacrime agli occhi.