Quarto episodio; Il pianeta azzurro: Xantas

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Passo la notte senza chiudere un occhio. Normale, anche per uno come me, che riesce a gestire bene elevate dosi di stress. Sono carico ed il mio entusiasmo annienta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti. Cammino verso la stazione spaziale con decisione. Non ho tentennamenti, sono guidato dalla forza di volontà.

Prima di entrare nella nave spaziale, raduno la squadra. Non sono solo il capo progetto, ma anche il comandante della spedizione. Devo essere sicuro che gli elementi che mi accompagneranno, anche se scelti con cura durante le fasi del progetto, non mostrino paure o disagi. Li vedo davanti a me determinati e sereni.

“Stiamo per dare vita a qualcosa che non ha precedenti nella storia di Omega e forse dell’universo. Lo faremo per l’amore della nostra gente e del pianeta. Su di noi grava una responsabilità che va oltre il significato delle nostre singole vite. Ma questa responsabilità è la forza che ci ha mandato avanti, giorno dopo giorno, da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme. Mi fido di ognuno di voi, perché siete stati scelti personalmente da me, per il vostro desiderio e la vostra passione. So che non falliremo. Riusciremo a garantire un futuro ai nostri figli. Quando torneremo saremo diversi, più forti e maturi, ma soprattutto più saggi. Faremo risorgere Omega”.

Inutile fare un discorso più lungo. Infondo loro coraggio e loro fanno altrettanto. Semplicemente guardandoli, vedendo i loro occhi lucidi, pieni di sentimento.

Entriamo nella nave e mi siedo nella postazione di comando. Vedo i tecnici andare velocemente nella sala motori, mentre gli ingegneri si dispongono intorno a me, accedendo ai loro computer. La classe aristocratica si connette da terra. Mi fanno i complimenti e mi ringraziano per l’ennesima volta per il grande lavoro svolto. Mi augurano buona fortuna.

Inizia il conto alla rovescia. Fino ad ora sono riuscito a gestire la mia agitazione, ma vedere i numeri che scorrono all’indietro provocano in me vari timori. Chiudo gli occhi e cerco di concentrarmi sul respiro per tornare nel momento presente. Alzo gli occhi sul timer. Dieci, nove, otto, sette. Eccole lì, ansia ed agitazione. Mi sorridono e mi dicono che non potevo scordarmi di loro. Per fortuna so trattarle come delle amiche e la loro influenza non riesce mai ad annebbiare la mia mente. Sei, cinque, quattro. Eppure il cuore inizia a battermi forte. Forse per il rumore dei motori che aumenta di intensità. Il desiderio di voler salvare il pianeta prima possibile. Non lo so, non riesco ad inquadrare bene le mie insicurezze. Tre, due, uno, partenza. In un attimo siamo scaraventati fuori dall’atmosfera di Omega. Per un attimo non ho sentito il mio respiro.

“Tutto bene comandante. Siamo pronti per iniziare il viaggio. Quando vuole ci dia un segno”.

“Vi ho detto di non chiamarmi comandante. Solo Xantas. Datemi un minuto”.

Mi alzo ed osservo Omega dal vetro trasparente che circonda la mia postazione, quella degli ingegneri e dei piloti. Vedere il pianeta rimpicciolire mi mette a disagio. Provo nostalgia. Come se una parte di me si perdesse nelle profondità dello spazio. Un cordone invisibile che si stacca dal mio corpo. Non so perché, ma non riesco a pensare altro che all’amore per quel globo all’apparenza così piccolo. Da lì non si ha la percezione del dolore che abbiamo affrontato. Una paura inconscia mi viene a galla. Nonostante l’attenzione riposta nella preparazione del viaggio, che dura da anni, ho paura che possa succedere qualcosa di spaventoso. Una minima possibilità che le cose non vadano come dovrebbero, che questa è l’ultima volta che osservo il mio amato pianeta. Poggio le mani e la fronte sul vetro.

“Xantas, tutto bene?”

Gli ingegneri della squadra si voltano verso di me preoccupati, forse perché non mi hanno mai visto in questo stato. Ritorno in me, mi asciugo le lacrime scese pochi attimi prima con il dorso della mano e gli rispondo con un sorriso.

“Partiamo”.

I successivi giorni passano in fretta. La maggior parte del tempo libero lo sfrutto per fare lunghe passeggiate nei corridoi della nave, solo con me stesso e con i miei pensieri. Il silenzio ed il rumore dei miei passi sono come una litania nel cuore dello spazio. Penso spesso a Marhas, a cosa stia facendo in questo momento. A volte mi soffermo a parlare con i membri della squadra, mi fa piacere scambiare opinioni sui pianeti e sui fenomeni che osserviamo durante il viaggio. È incredibile come la natura abbia dato vita a tutto questo. Viverlo in diretta è completamente diverso che studiarlo o vedere immagini su un libro.

“Xantas, vieni in cabina, siamo entrati nel sistema solare del pianeta in oggetto. Qualche minuto e potremo approcciarlo”.

Quando sento gli ingegneri chiamarmi, sono nella mia stanza da letto a leggere un libro. Finalmente è giunto il momento del primo incontro. Quando arrivo in cabina di comando vedo l’intera squadra immobile guardare fuori dal vetro, come in contemplazione. Hanno fermato la nave.

“Che succede?” chiedo con timore.

Mi avvicino a loro e mi fanno spazio senza rispondere alla domanda. E poi me ne accorgo, lo spettacolo a cui stanno assistendo. Quelle distese di acqua azzurra, le nubi bianche che contornano il globo, le eleganti catene montuose che disegnano figure tra le verdi pianure. È tutto armonico e perfetto. Già dalle osservazioni avevamo intuito che il pianeta potesse essere bello, ma da lì vicino ti penetra l’anima. Mi giro emozionato verso la squadra che mi circonda.

“Bello vero?”

Mi rispondono un sì che sembra un gemito di piacere. Continuiamo a guardare il pianeta azzurro forse per altri venti minuti, in silenzio, ma non riesco a quantificare il tempo. È un momento di unione e di relax per tutti.

Poi riprendo coscienza.

“Ok, basta oziare, prepariamoci a contattarli!”